LA CORTE D'APPELLO
    Ha  pronunciato  la seguente ordinanza, per deliberare nella causa
 n. 824/1989 r.g., promossa in grado d'appello  dall'unita'  sanitaria
 locale  n.  7 di Rossano, rappresentata e difesa dagli avvocati N. De
 Simone  ed  N.  Minnicelli,  appellante,  contro   l'Upjohn   S.p.a.,
 rappresentata a difesa dall'avv. F. Violi, appellata;
    Letti gli atti ed i documenti della causa;
    Premesso  che  non  puo'  essere  attribuito  alcun  significativo
 rilievo all'affermazione, che si legge nella memoria  di  replica  da
 ultimo  depositata  dal  difensore  dell'appellata in data 23 gennaio
 1991, secondo la quale la  materia  del  contendere  sarebbe  cessata
 avendo  l'Upjohn  ceduto  il  credito  controverso ad altro soggetto:
 giacche'  tale  circostanza  non  appare assolutamente documentata in
 atti, ne' del resto sarebbe, si per se' sola, idonea a determinare la
 cessazione della materia del contendere, atteso quanto dispone l'art.
 111, primo comma, del c.p.c.;
    Rilevato che uno  dei  motivi  dell'appello  proposto  dall'unita'
 sanitaria  locale  di Rossano investe il capo della sentenza di primo
 grado che ha condannato l'appellante a corrispondere alla  creditrice
 Upjohn,   oltre   agli   interessi   legali,   un  ulteriore  importo
 (determinato  in  misura  percentuale  sull'ammontare  capitale   del
 credito)  a titolo di maggior danno per svalutazione della moneta, ai
 sensi del capoverso dell'art. 1224 del c.c.;
    Considerato  che  l'anzidetta  doglianza  si  basa  sul   disposto
 dell'art.  62  della  legge  17  dicembre  1981, n. 21, della regione
 Calabria, che disciplina il regime degli  interessi  debitori  dovuti
 dalle  unita'  sanitarie  locali  di  detta  regione  e  prevede,  in
 particolare, che "tutti gli interessi da ritardo  sono  interessi  di
 mora, comprensivi del risarcimento del danno ai sensi dell'art. 1224,
 secondo comma, del c.c.";
    Reputato  che,  ai  fini della decisione della presente causa, non
 sembra possa comunque prescindersi  dall'applicazione  dell'anzidetta
 normativa   regionale,   che  e'  formulata  in  termini  palesemente
 derogatori rispetto alla disciplina generale vigente nell'ordinamento
 nazionale, in tema di interessi legali e di risarcimento del  maggior
 danno,  e  che  sicuramente  si  attaglia  al  caso di specie, ove e'
 appunto questione di  crediti  pecuniari  vantati  nei  confronti  di
 un'unita' sanitaria locale calabra;
    Considerato che, peraltro, appare dubbia la conformita' al dettato
 costituzionale dell'indicata normativa emanata dalla regione calabra,
 in quanto:
       a) l'art. 117, primo comma, della costituzione, che attribuisce
 alle  regioni  potesta'  legislativa  in  determinate materie, tra le
 quali e' compresa l'assistenza sanitaria ed ospedaliera,  non  sembra
 poter  essere interpretato in senso si' lato da farvi rientrare anche
 la disciplina delle obbligazioni nascenti da rapporti contrattuali di
 natura prettamente privatistica, instaurati con  terzi  dalle  unita'
 sanitarie  locali, quasi fosse possibile creare in ogni regione delle
 aree territoriali di jus singulare, caratterizzate solo dal fatto che
 una delle  parti  del  contratto  di  cui  si  tratta  sia  un'unita'
 sanitaria locale;
       b)   una  disposizione  cosi'  concepita  appare  difficilmente
 conciliabile  anche  con  il  principio  di   uguaglianza   enunciato
 dall'art.  3  della  Costituzione,  sembrando  arduo  attribuire  una
 razionale giustificazione al fatto che coloro che stipulino  identici
 contratti  (di  diritto  privato)  con  varie unita' sanitarie locali
 debbano sottostare ad una diversa disciplina, in  tema  di  interessi
 debitori  e  di  eventuale  maggior  danno conseguente al ritardo nel
 pagamento di quanto loro dovuto, sol perche'  i  rispettivi  debitori
 sono  eventualmente  dislocati  in  regioni  diverse  del  territorio
 nazionale;
    Ritenuto che i suaccennati dubbi di  legittimita'  costituzionale,
 ancorche'  investano non gia' una norma dello Stato, bensi' una legge
 di emanazione  regionale,  implicano  pur  sempre  la  necessita'  di
 sospendere il giudizio in corso e di rimettere la questione all'esame
 della  Corte costituzionale (cfr., in proposito, Corte costituzionale
 14 giugno 1990, n. 285);